A Genova non c’ero

A Genova a luglio 2001 non c’ero. La stagione delle manifestazioni (tuttora in corso) per me sarebbe iniziata subito dopo, in autunno. Ma a Genova c’erano tanti miei amici, alcuni che avevo già incontrato, molti altri che avrei conosciuto poco dopo, nel volontariato, all’università. Dentro quel fiume di gente, tra gli attivisti della Rete Lilliput e gli altri manifestanti nonviolenti, idealmente avrei dovuto esserci, perchè erano la comunità che stavo iniziando, con entusiasmo, a trovare e a riconoscere, quella nella quale mi sarei formata. Anche se non c’ero, come a molte altre persone della mia età quei giorni sono rimasti stampati nella testa, uno spartiacque tra le pagine della Smemo della memoria collettiva.
Di quei giorni ricordo lo sgomento, l’impotenza nel leggere le notizie. Quel bagno di sangue. E anche, dopo, le generalizzazioni, i giudizi manichei, le vittime diventate eroi, la divisione arbitraria tra buoni e cattivi quando la realtà era piena di sfumature di grigio, i tempi lunghissimi e i paradossi del sistema giudiziario.

Sorry, Zerocalcare (motivo di attrazione principale per il quale ho comprato Nessun rimorso, edito da Coconino Press), ma la me 19enne era una zecca perbenino, pacifista, a cui faceva e fa rabbia la violenza come mezzo di default. Quindi provavo rabbia verso chi faceva proprio un modus operandi aggressivo in una manifestazione che aveva così tanto bisogno di essere ascoltata nelle sue idee e nei suoi contenuti. Ovviamente ho provato ancora più rabbia verso la violenza gratuita e generalizzata delle forze dell’ordine, sfociata, come era prevedibile, in guerra urbana e in tragedia. Senza parlare degli orrori della Diaz e di Bolzaneto.

Complice l’anniversario di questi giorni, si sta parlando molto del G8, della profonda complessità di questo evento e di questa pagina nera della storia della democrazia italiana, ma anche di cosa è cambiato e cosa non è cambiato nel mondo, e nel mondo dell’attivismo sociale e politico, da quel luglio violento ad oggi.

Un altro mondo è possibile, lo slogan che ha scosso e animato nei primi anni 2000 la mia generazione (e non solo, perchè nel variegato movimento erano attive più generazioni), non si sente più in giro. Che l’attivismo in sè, che i movimenti sociali siano morti, però a me non sembra proprio; mi sembra, invece, che si evolvano e diversifichino continuamente, adattandosi a strumenti e linguaggi nuovi.

Ok, un pizzico di malinconia mi viene, non pensando al G8 in sè, ma a quella sensazione che qualcosa di grande e trasversale stesse nascendo. Una rete che spaziava dai frati di Assisi agli zapatisti in Chiapas alle ong a tanto associazionismo laico, che aveva per la prima volta una dimensione globale e che voleva costruire una maggiore giustizia ed equilibrio tra Nord e Sud del mondo, ma anche all’interno dei nostri paesi. Tematiche enormi, globali, appunto, super ramificate, impossibili da semplificare, sicuramente non risolvibili in poco tempo. Negli anni questa rete si è frammentata, ma di realtà e persone attive sui temi che la rete aveva al suo centro ce ne sono tantissime, e stanno sviluppandosi altre sinergie tra temi diversi. Penso all’idea di intersezionalità, a come sempre più battaglie e istanze si stiano intrecciando tra loro, riconoscendo il valore di uno sguardo più ampio verso un mondo in cui tante ingiustizie e problematiche si sovrappongono. Non tutte queste battaglie hanno un carattere sistemico, non tutte inquadrano come un problema le derive del capitalismo.

Il G8 bisogna raccontarlo ai giovanissimi, nella sua complessità. Anche solo per ricordare quanto sia necessario tenere d’occhio la salute della nostra democrazia, il marcio che non è solo dei singoli, ma che può infettare le istituzioni. In questo periodo Amnesty sta portando avanti una campagna per l’introduzione di codici alfanumerici per gli agenti delle forze dell’ordine; sarebbe certo un passo avanti di civiltà, per prevenire atti di violenza e abusi di potere.

La nostalgia dei nostri 20 anni cerchiamo di tenerla fuori e teniamo gli occhi aperti su tutto quello che sta succedendo, e su quello che c’è da cambiare, adesso.

Rita Petruccioli, in Nessun rimorso


Zerocalcare, in Nessun rimorso
Squaz, in Nessun rimorso

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