Sono stata una bambina di città. Ho sempre avuto anche tanto ammmore per le montagne verdi e le caprette che fanno ciao, ma sono cresciuta in un ambiente urbano e l’ho amato via via sempre di più, man mano che ho avuto la possibilità di esplorarlo in autonomia. Probabilmente è per questo che adesso apprezzo molto l’arte, compresi gli albi illustrati, che rappresenta gli habitat cittadini, la loro diversità, la loro vita più o meno pulsante.
Di Sydney Smith, qualche mese fa, avevo amato molto Piccolo in città (Orecchio acerbo editore), ed ero molto curiosa di sfogliare Fiori di città, edito in Italia da Pulce edizioni, ideato da JonArno Lawson e illustrato, appunto, da Sydney Smith. Questo albo senza parole ci porta a fare una passeggiata tra le strade di Toronto seguendo una bambina col cappuccio rosso che va a fare commissioni con il papà, in una bella mattinata che potrebbe essere di primavera o d’autunno.

Lo scenario urbano nel quale la coppia si muove è tratteggiato in bianco e nero; nelle prime pagine, l’unica macchia di colore è la giacchetta rossa della bimba.
Padre e figlia camminano per mano e attraversano vari paesaggi e quartieri. Il padre fa la spesa, parla al telefono, con il fare sicuro e spedito dei grandi che sanno dove andare. La figlia, con il suo sguardo bambino, rallenta il passo, si distacca e ritorna, osserva e vede una miriade di particolari, curiosa di tutto ciò che la circonda. Ed iniziano a comparire macchioline di colore: sono i fiori di città, quelli che spuntano tra le crepe del marciapiedi o dei muri, quelli che crescono tranquilli, inosservati, nel tran tran cittadino. La bambina li nota e inizia a raccoglierli.

E man mano, altri elementi del paesaggio iniziano a colorarsi, quelli su cui si posa il suo sguardo: la frutta in un banco del mercato, i taxi gialli, il vestito variopinto di una signora alla fermata dell’autobus, le ampolle e i vasetti nella vetrina di un negozietto dell’usato dal quale spunta il muso di un gatto, le lanterne del ristorante cinese.
L’esplorazione continua, e mentre il papà guarda sempre dritto, la bambina prosegue a zig zag, si ferma a raccogliere fiorellini e ad osservare silenziosamente dettagli che i suoi occhi non ancora blasé individuano in mezzo al viavai, ai rumori, al respiro e al movimento costante della città. Una città che non è intrinsecamente grigia o noiosa, ma ricca di varietà, di cose che succedono, di persone, anche di elementi naturali che si intrecciano a quelli del’ambiente antropizzato.

E poi il suo sguardo inizia a trasformare ciò che vede, attraverso piccolissimi gesti. La bambina si ferma a regalare qualche fiore dal suo mazzetto a un uccellino morto al parco, a un (probabile) senzatetto, a un cane col quale ha fatto conoscenza mentre il padre chiacchierava con il suo padrone. Mentre i due si avvicinano alla strada di casa, tutto ciò su cui si posano gli occhi della bambina, e tutto ciò che per lei è familiare e amato, assume sempre più sfumature colorate.

Fino al ritorno a casa. Qui la piccola finirà di distribuire i suoi fiorellini.

Ecco, la bellezza di questo albo mi ha lasciato senza fiato. Una bellezza e una meraviglia che sono ovunque – non “nonostante” o “persino” in città, ma proprio nella città, e che, a mio vedere, non occorre sviscerare più di tanto con analisi ed interpretazioni. Non a caso un elemento di questa meraviglia è il silenzio, l’assenza di testo che, forse, invita ad un’esperienza ancora più immersiva.
Lawson, J., Smith, S. (2020). Fiori di città. Pulce edizioni