Con Garmann sull’orlo del precipizio

Non la amo affatto, l’estate. Almeno, quella torrida di queste latitudini, in particolare nelle grandi città di pianura. La trovo spietata, soffocante, implacabile e vorrei che fosse dichiarata incostituzionale. Ma l’estate, quando sei piccolo o abbastanza giovane da andare ancora a scuola, è altro, certo. Tre mesi di squisito altro rispetto alla routine di tutto il resto dell’anno. Una sospensione fatata del tempo, un’onda che trasporta i bambini su un’altra riva per riportarli, a settembre, più lunghi e forse un po’ più selvaggi. Nell’adolescenza può diventare un tempo nel quale succedono cose, si vivono esperienze che ci cambiano, ci definiscono, ci fanno sentire un passo più avanti verso una versione più consapevole di noi stessi quando, a settembre, riattraversiamo la soglia della nostra classe.

L’estate di Garmann è un tempo agli sgoccioli, quello che divide il piccolo protagonista dell’albo illustrato di Stian Hole dall’inizio della scuola elementare. Quella di Garmann è un’estate scandinava, fresca, dalla luce apparentemente infinita, in un paese di foreste. E’ un’estate fatta di giochi all’aperto, frutti di bosco ed enormi fiori spettacolari. Che però, adesso, sta per finire. Garmann si sente le farfalle nello stomaco. Dalle pagine ci sembra di sentir ronzare le api del suo giardino, ad accompagnare il tempo, lento ma non troppo, di questi ultimi giorni di vacanza. I giorni avanzano, inesorabili, verso questo traguardo che al nostro giovane amico lentigginoso mette paura. Tanto più che i suoi denti da latte non hanno iniziato ancora a cadere – li ha controllati per tutta l’estate, e niente. Mentre le gemelle Hanne e Johanne ne hanno persi quattro ciascuna, e in più sanno già andare in bicicletta, mettere la testa sott’acqua e fare le equilibriste. Inutile dire che il nostro amico no, lui no.

A segnare questi giorni di passaggio, la consueta visita di fine estate di tre vecchie zie, che viaggiano sempre in gruppo come tre favolose fate madrine, arrivando in barca con in dono un nuovo berretto col ponpon per Garmann.
Per esorcizzare le sue farfalle nello stomaco, il bambino inizia a sondare, tra i grandi, quali siano le loro paure. La risposta è confortante: tutti, o quasi, hanno qualche paura. Una delle zie sa che presto dovrà usare un deambulatore e teme la durezza del lungo inverno, con le sue strade coperte di ghiaccio.  Un’altra zia sente che la morte non è lontana. Quando arriverà il momento, si metterà il vestito ed il rossetto più belli che ha, salirà sul Grande Carro e si lascerà trasportare in un grande, bellissimo giardino. Ha paura di andare lontano da Garmann, ma pensa che scoprirà molte cose appassionanti, in quel giardino.  La terza zia è la sola dei grandi a non avere paura, perchè non si ricorda cosa voglia dire. Sa solo che cosa vuole adesso: mangiare la torta di mandorle.

Il papà, un violinista spesso in viaggio con la sua orchestra, ha paura di essere lontano dalla famiglia, e ha paura prima che inizi ogni concerto. La mamma ha paura di dover lasciare che Garmann attraversi la strada da solo per andare a scuola, dopo averlo allenato a guardare a destra e a sinistra per tutta l’estate. E ha paura del dentista.

Le zie devono ripartire. Garmann le saluta dalla baia del suo fiordo, guardando la nave allontanarsi fino a sparire nella linea tra il mare e il cielo. Poi ricontrolla il contenuto del suo astuccio. L’attesa si fa palpabile.
Lasciamo il protagonista mentre guarda fuori dalla sua finestra, la sua stanza inondata dal sole, tredici ore prima dell’inizio della scuola. La prima foglia si stacca dal melo del giardino. Lo zaino è pronto, i denti da latte sono sempre al loro posto. Così come le farfalle, che continuano a danzare nello stomaco.

L’origine norvegese di Stian Hole ce lo rende un filino esotico ed il linguaggio e i contenuti di questo albo sono stati accolti come molto innovativi nel panorama italiano. Senza dubbio è un’opera rinfrescante, estremamente gradevole nel connubio tra l’elemento visivo e quello testuale. Hole adotta un linguaggio visivo che crea un originale collage tra disegno, fotografia e grafica digitale.  L’effetto è, ai miei occhi, quello di una sorta di realismo magico dell’illustrazione, che scivola gradevolmente da scene quasi oniriche ad altre più realistiche, creando una sensazione di tensione, di vibrante e pulsante attesa.

Hole tocca senza falsi pudori due temi come il tempo e la morte, in modo acuto e al contempo delicato. Durante questa sua sesta estate, che percepisce come trascorsa troppo in fretta, Garmann assume consapevolezza dello scorrere del tempo, del fatto che tutti dobbiamo inevitabilmente crescere, cambiare, trasformarci, in un processo inarrestabile. Il bambino riflette sulla morte, parlando con le vecchissime zie e seppellendo un uccellino trovato in giardino. Sa che un Grande Carro porta i morti in cielo, ma allo stesso tempo sa che il corpo deve disfarsi nel terreno, diventando polvere. Sa di essere all’inizio del suo tempo, mentre le zie sono, all’opposto, alla fine del loro. E sa anche che la paura, come la morte, è parte dell’esperienza che accomuna gli esseri umani. Come gli adulti, imparerà a convivere con la paura, mentre posa lo sguardo sul precipizio che rappresenta, per lui, il primo giorno di scuola. Un nuovo inizio, un emozionante salto nel vuoto come sono quasi sempre i nuovi inizi importanti, anche per i grandi.

 

Hole, S. (2011). L’estate di Garmann. Donzelli editore.

Età consigliata: dai 5 anni.

 

 

 

 

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