Non volevo essere felice da solo: vita (e morte) di Harvey Milk

Il mio amore non può farti male - Paterlini - Harvey Mille - Einaudi

Ho letto Il mio amore non può farti male. Vita (e morte) di Harvey Milk  di Piergiorgio Paterlini, pubblicato alla fine dell’estate, perché ero curiosa. Curiosa di questo libro dedicato alla vita di un politico statunitense gay ucciso nel 1978, firmato da un celebre scrittore e giornalista italiano, ed esplicitamente rivolto a lettori adolescenti.  Una scelta, tutto sommato, ancora leggermente audace nel nostro contesto, segnato da un conflitto culturale  sull’educazione sessuale e contro gli stereotipi di genere, che secondo qualcuno avrebbe il potere di rendere omosessuali bambini o adolescenti.

Paterlini prova ad immedesimarsi in Harvey Milk, rende protagonista la sua voce, in una sorta di monologo che vedrei bene trasposto in forma teatrale,  e che si rivolge direttamente ad un/a tredicenne di oggi.  Una voce con qualche lieve sfumatura paternalistica/didascalica, a tratti, ma sostanzialmente una voce onesta, ruvida e gentile, che racconta la storia di Harvey intersecando diverse linee temporali, con apparenti divagazioni e digressioni che, gradualmente, intessono la trama di una vita. Mentre ci racconta il suo percorso personale, Milk riflette su cosa significava essere omosessuale nella sua epoca, sull’invisibilità che lo segnava, su come si è risvegliata in lui la consapevolezza di volersi muovere per migliorare le cose.

Milk, classe 1930, non nasce  attivista: fino ai 40 anni conduce una vita comune e lontano dai riflettori, venendo lentamente a patti con la propria omosessualità in un contesto duramente ostile,  spostandosi da una città all’altra mentre si sperimenta in differenti professioni, cercando l’amore e affrontando una serie di esperienze intense, ma anche di batoste a livello sentimentale.

Solo dopo il suo arrivo a San Francisco, all’inizio degli anni Settanta, sente di aver trovato il suo posto, la sua dimensione. Apre un negozio di fotografia nel quartiere di Castro e comincia a sentirsi parte della comunità gay, e della comunità locale in generale. Inizia ad attivarsi creando un’associazione di commercianti, diventa popolare nel quartiere e decide di candidarsi al consiglio comunale. Per due tornate non riesce a raggiungere l’obiettivo, finchè nel 1978 viene eletto – primo politico apertamente gay negli Usa – ed inizia a tuffarsi nell’impegno politico. Sono anni segnati da una grande energia e dalla sensazione che tutto poteva cambiare.

I messaggi più importanti di questo libro, dal mio punto di vista, ruotano attorno all’idea di politica: un’idea di politica pulita, sana. Di base, il Milk a cui dà voce Paterlini è un uomo che non crede sia giusto o possibile essere felici da soli.

Se è vero che non puoi farti soffocare dal dolore del mondo, non puoi nemmeno dimenticare l’infelicità che vedi attorno a te. Non puoi disinteressartene. Pensare che non siano affari tuoi.

Gli interessa lavorare per rendere il suo paese un luogo meno oppressivo per le persone omosessuali, per il riconoscimento di pari diritti, per la creazione di un nuovo discorso pubblico che contrasti l’omofobia. Per dare ai giovani gay la prospettiva di un futuro in cui potranno essere sereni, vivere in pace con se stessi e la società. Questa motivazione è forte e percorre tutto il suo lungo monologo. E al contempo, la sua è una visione che oggi definiremmo intersezionale dell’attivismo:

Una delle cose che ho capito subito era che dovevamo lottare per i nostri diritti ma anche dimostrare che ci stava a cuore il bene di tutti, il bene comune. Che non eravamo interessati solo a noi stessi, che non pensavamo di essere l’ombelico del mondo, che non esistevano solo i nostri problemi, per quanto importanti e, certo, prioritari.

Nel suo ruolo di consigliere comunale, Milk lavora a tutto tondo per la città, dedicando una particolare attenzione alle fasce deboli della popolazione: minoranze, bambini, anziani, persone ammalate. E’ un uomo comune con la voglia di spendersi per la polis, che crede nella possibilità di una convivenza civile, ma al contempo è consapevole dei rischi che corre esponendosi in una posizione pubblica, combattendo l’odio e la paura delle diversità.  Quell’odio che, alla fine, lo colpirà a morte per mano di Dan White, un ex consigliere comunale, che una mattina arriva in Municipio armato e trafigge Harvey con 5 pallottole, per poi uccidere anche il sindaco, George Moscone. White sconterà solo cinque anni di carcere e si suiciderà due anni dopo esserne uscito.
Assassino, ma lui stesso, probabilmente, vittima di una cultura di odio e violenza che Milk, con i suoi alleati e sostenitori, puntava a contrastare.

La cultura veicolata anche da alcuni personaggi pubblici, come il senatore John Briggs, autore della Proposition 6, una proposta di legge per impedire agli omosessuali di insegnare nelle scuole. O Anita Bryant, attivista fondamentalista cristiana che aveva raccolto 75.000 firme contro una norma che, in Florida, vietava di discriminare i cittadini in base all’orientamento sessuale.

[…] tutti loro dicevano cose che non stavano nè in cielo nè in terra, eppure arrivavano alla gente, toccavano le corde delle paure più irrazionali, cioè le più pericolose, le più difficili da scalfire, la paura del diverso, la paura di essere defraudati del poco o tanto che avevano o credevano di avere, di tutto ciò che era o sembrava nuovo. Facevano leva sull’ignoranza, ben sapendo quanto fosse potente, quella leva.

Meccanismi e discorsi che suonano tristemente familiari, anche a 40 anni di distanza.

Ecco, in nuce, il messaggio dell’Harvey Milk che Paterlini fa rivivere in queste pagine: un richiamo ai giovanissimi ad impegnarsi, a considerarsi una parte importante di una società che è come un organismo vivente, che necessita di tutte le sue componenti per respirare, per andare avanti. Un vaccino contro l’indifferenza e il qualunquismo, necessario come il caffelatte e i biscotti a colazione.

[…] Non puoi passare la vita a dare la colpa al mondo, anche se ce l’ha. […] Un conto è dare la colpa al mondo e finita lì, un altro alzare il culo e provare a vivere comunque meglio e al meglio, provare a fare qualcosa.

 

Paterlini, P. (2018). Il mio amore non può farti male. Vita (e morte) di Harvey Milk. Einaudi Ragazzi.
Età consigliata: dai 13 anni.

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