L’ambientazione dell’isola ha ispirato molti autori, sia per adulti che per ragazzi: pensiamo all’ Isola del tesoro di Stevenson, all’Isola di Arturo di Morante, all’isola del Signore delle mosche di Golding, e poi ancora L’isola che non c’è raccontata da Barrie, L’isola misteriosa di Verne, le isole di Robinson Crusoe di Defoe e della famiglia Robinson di Wyss, quella de La mia famiglia e altri animali, senza dimenticare l’isola del Principe Edoardo, glorioso sfondo della serie di Anna dai capelli rossi di LM. Montgomery.
Oggi, però, esploreremo alcune destinazioni leggermente meno famose, ma non meno entusiasmanti. Luoghi che potrete raggiungere, anche in stagione bassa, con i vostri bambini o anche da soli, fermandovi quanto volete, grazie all’immaginazione di alcune tra le più grandi autrici per l’infanzia. Il tour è gratis se trovate i libri in biblioteca, al bookcrossing o ve li presta un amico. Se li dovete cercare in libreria oppure online, beh, considerate che una crociera costerebbe comunque di più. Saliamo a bordo?
Prima tappa: l’Isola dei Gabbiani
Salpiamo per il Nord. Astrid Lindgren, celeberrima autrice di Pippi Calzelunghe, Mio, piccolo mio, Emil, Ronja e tanti altri grandi classici, ha pubblicato nel 1964,Vacanze all’isola dei gabbiani, ispirato all’omonima, fortunata serie televisiva che lei stessa aveva sceneggiato nello stesso anno. Questo libro, anche se meno famoso di altre opere di Lindgren, si può comunque considerare, ormai, un classico e in Italia è pubblicato da Salani.
L’Isola dei Gabbiani, ipoteticamente una delle migliaia di stupende isolette dell’enorme arcipelago di Stoccolma, è un piccolo paradiso che la famiglia Melkerson, di Stoccolma, inizia ad esplorare e a conoscere in un luminoso giorno di giugno, prendendo possesso della scalcinata ma accogliente Casa del Falegname, affittata per le vacanze.
I Melkerson si potrebbero definire una famiglia resiliente. Melker, il padre vedovo di Malin, Johan, Niklas e Pelle, è ritratto secondo la macchietta dello scrittore con la testa tra le nuvole, imbranatissimo in qualunque compito pratico e un po’ ingenuo, ma divertente e dal cuore d’oro. Il suo braccio destro, dopo la morte della moglie, è stata Malin (che, non chiedetemi perchè, nella versione italiana è diventata Misa e poi Karin). Malin, che si è ritrovata, lei stessa in lutto per la perdita della mamma a 13 anni, a tamponare la sua assenza curando la casa e accudendo per quanto possibile i fratellini (uno dei quali piccolissimo), come probabilmente era normale aspettarsi negli anni ’60 da una ragazzina, in quanto femmina. Una situazione pesante a leggerla con gli occhi del 2018, ma probabilmente ‘unproblematic’ per l’epoca – lo stesso Melker ha occasionali sensi di colpa per aver responsabilizzato così tanto la figlia, ma è sottinteso che, date le condizioni modeste della famiglia, non ci fossero grandi alternative. All’inizio della storia, Malin è una diciannovenne fresca di diploma, ottimista, pronta ad affacciarsi alla vita e all’amore. Dopo i primi anni, la famiglia ha ritrovato un proprio equilibrio e ora sta bene nella propria pelle (collettiva). I fratellini di Malin sono tre: Johan e Niklas, preadolescenti, e Pelle, di 7 anni. Co-protagonisti dei Melkerson sono le 3 figlie dei loro vicini di casa: Teddy e Freddy, scatenate coetanee di Johan e Niklas, e soprattutto Tjorven (soprannome svedese dedicato ai bimbi piccoli, il cui corrispettivo potrebbe essere, forse, un “Trottolina”?), coetanea di Pelle e vero deus ex machina dell’isola, che di fatto tiene in pugno nelle sue manine paffute, sempre affiancata da un pacioso San Bernardo.
Cosa succede sull’isola? Niente di eclatante: giochi all’aperto a non finire, piccole disavventure, incontri con vari animali e umani pittoreschi, rocamboleschi approcci al fai-da-te da parte di Melker e altro ancora, il tutto raccontato un po’ da un narratore onnisciente e un po’ attraverso le pagine del diario di Malin. I Melkerson ritorneranno sull’isola in diverse stagioni, compresa un’incantevole parentesi natalizia. Non importa davvero cosa succede sull’Isola dei Gabbiani. Quello che davvero vi potrebbe catturare sono le sue atmosfere; la libertà dei bambini; la cordialità degli isolani e la semplicità (forse idealizzata) delle relazioni umane di questo tempo e luogo; l’immersione mistica nella natura che si riflette nel diario di Malin, la lentezza placida delle giornate di vacanza, in un contesto in cui non occorre programmare un’agenda per i bambini, che diventano padroni felici del loro tempo e dello spazio naturale.
Seconda tappa: l’Isola di Struay
Restiamo al Nord, un po’ più in giù a sinistra. L’Isola di Struay è un’isola immaginaria che Mairi Hedderwick, creatrice del popolarissimo (nel Regno Unito) personaggio di Katie Morag, colloca al largo della costa scozzese occidentale.
E’ un peccato che Katie Morag non sia ancora stata esportata in Italia. Se fate un giro nelle isole britanniche, oppure su qualche libreria online, potrete trovare facilmente i libri dei quali è protagonista, pubblicati a partire dagli anni ’80 e che hanno ispirato una serie tv. Questa che vedete in foto è una raccolta che contiene circa 15 storie, a cui si aggiungono utili extra, come la mappa di Struay e l’albero genealogico di Katie.
Le illustrazioni di Mairi Hedderwick vi trasporteranno in pochi secondi nelle atmosfere umide e affascinanti delle Ebridi. Mare e cielo infiniti, pecore, distese di prati, scogliere, pecore, casette sparse qua e là e ancora pecore (ho già detto che ci sono delle pecore?). Katie Morag McColl ha un’età variabile più o meno riconducibile ai primi anni delle elementari, un paio di fratellini-nanetti dai capelli rossi, due genitori impegnati e imperfetti ma in fondo simpatici, una ganzissima nonna-dell’isola perennemente in salopette che la porta in trattore, una fascinosa nonna-della-terraferma che arriva di tanto in tanto in visita in una nube di charme, uno zio eremita che è una grande risorsa e cinque cugini dai capelli rossi, di varie dimensioni. Passa la maggior parte del tempo a giocare in giro per l’isola con addosso i suoi stivaletti di gomma, vivendo una serie di (solitamente umoristiche) avventure insieme a pecore ed altri abitanti dell’isola, accompagnando la mamma postina a consegnare lettere in bici o campeggiando con i cugini. Tutti vorremmo un po’ essere Katie Morag, compresi quelli di noi che razionalmente sanno che, a lungo termine, andrebbero ai matti su un’isola con approssimativamente 25 abitanti.
Terza tappa: l’Isola delle zie
Le zie improbabili è uno dei primi libri che ho letto dopo aver scoperto la meravigliosa Eva Ibbotson, e dovete assolutamente leggerlo anche voi.
Rapire i bambini non è una buona idea. Eppure, qualche volta va fatto.
Questo l’incipit della storia che ha per protagoniste tre (quattro, in realtà) eccentriche signore che dedicano la loro vita a curare animali e altre creature magiche o comunque stranissime su un’isola in mezzo all’Atlantico. Di fronte alla necessità di un ricambio generazionale (cosa sarà delle creature quando loro non ci saranno più?), decidono di rapire alcuni bambini dalle buone potenzialità a livello veterinario e dalla vita infelice, fingendosi tate-accompagnatrici (dell’agenzia Zie improbabili). Minette e Fabio si ritrovano, così, sull’isola, insieme al capriccioso e mefitico Lambert, rapito per sbaglio dalla più imbranata delle zie. Iniziano giornate di duro lavoro, ma dopo pochi giorni i bambini si affezionano così tanto agli animali e alle altre creature di cui devono prendersi cura – tra cui una famiglia disfunzionale di sirene, un selky, uno storverme – , alla vita all’aperto e ai peculiari adulti che li circondano da non avere più voglia di tornare a casa – lei sulla linea ferroviaria Londra-Edimburgo, in viaggio perenne tra le abitazioni dei suoi litigiosi genitori, lui nell’inflessibile collegio dove lo hanno spedito i nonni inglesi, dopo averlo sottratto alla casa dov’era cresciuto in Brasile.
Non c’è modo di rendere giustizia con le parole alla scrittura limpida e incalzante di Eva Ibbotson, al suo umorismo scoppiettante e surreale, ai suoi istanti di genio.
Al centro di questa storia troviamo l’importanza di un rapporto di rispetto e fratellanza con tutti gli esseri viventi, per quanto insoliti; l’insofferenza per i prepotenti e per chi dà troppo peso alle apparenze; l’amore per la libertà, la giustizia (in versione improbabile) e per la vita immersa nella natura.
Quarta tappa: l’Isola del tempo perso
Silvana Gandolfi ci accompagna verso l’ultima tappa del tour. Quest’isola si trova in un’altra dimensione, e l’unico modo per raggiungerla è…perdersi! E’ quello che succede alle quasi undicenni Giulia ed Arianna: dopo essersi allontanate durante un’escursione in una grotta, si ritrovano su una spiaggia, circondate da una marea di oggetti smarriti, ma soprattutto di umani che hanno perso il senso dell’orientamento. In realtà un modo per tornare alla propria realtà c’è…ma agli abitanti l’Isola piace, e molti di loro non hanno particolare voglia di tornare a casa. Non subito, almeno.
Giulia e Arianna, dopo un’iniziale diffidenza, stringono amicizia con un gruppo di ragazzini, ed insieme a loro esplorano l’isola e ne scoprono, man mano, le magiche caratteristiche. Non sono solo gli oggetti, gli animali e le persone smarrite a ruzzolare sull’isola, ma anche sentimenti ed emozioni: c’è chi ha perso la speranza, chi l’amore, o la gioia, o il coraggio…tutte sostanze che finiscono immagazzinate sotto forma di uno speciale plancton emesso dal vulcano locale, e che possono essere trasmesse a chi ne ha bisogno con un energico massaggio. E soprattutto, l’isola esiste e vive raccogliendo tutto il tempo perso dagli esseri umani. Il tempo perso “sano”, quello dell’ozio, del gioco, dei sogni ad occhi aperti. Per questo, giorni e notti scorrono lentissime, sfuggendo ad ogni misurazione terrestre. Ma una minaccia incombe sui pacifici isolani: dalla Terra è in arrivo una perturbazione, causata dall’aumento del tempo perso “tossico”, quello legato all’accelerazione costante dei ritmi di vita, all’iperproduttività, che tolgono a bambini e grandi l’opportunità di vivere i tempi lenti che servono a stare bene, ad essere felici. I fumi tossici temporali stanno aumentando e rischiano di contaminare rapidamente l’isola del tempo perso, trasformando i suoi abitanti in cannibali rabbiosi, e portando, presto, al suo annientamento. Qualcuno deve fare qualcosa al più presto per insegnare ai terrestri stressati a perdere il tempo necessario!
Oltre al tema cruciale, che Gandolfi tocca con incisiva leggerezza, è interessante in questo testo l’introduzione di un meccanismo metanarrativo: i capitoli sono intervallati da lettere che l’autrice scrive all’amica Giulia, ormai adulta, raccontandole il processo di scrittura e la sua progressiva immersione nella storia, che scatena e risveglia in lei flashback e sensazioni sopite, che culmineranno in un colpo di scena finale.
Siete arrivati alla fine del tour e avete ancora voglia di viaggiare? Possiamo ripartire! Quali sono le vostre isole (di carta) preferite?
Gandolfi, S. (1997). L’isola del tempo perso. Gl’Istrici, Salani
Età consigliata: dai 9 anni.
Hedderwick, M. (2014). The Katie Morag Treasury. Random House
Età consigliata: dai 5 anni.
Ibbotson, E. (2001). Le zie improbabili. Gl’Istrici, Salani
Età consigliata: dagli 8 anni.
Lindgren, A. (1ma ed. 1964). Vacanze all’isola dei gabbiani. Salani
Età consigliata: dai 7 anni.