Ho scoperto Jen Wang durante il primissimo lockdown, quando una delle mie librerie del cuore, Nora, aveva inaugurato la consegna a domicilio in una Torino ancora sconvolta, e come bene di primo conforto mi ero regalata una copia de Il principe e la sarta. Tempo dopo è uscito Stargazing.
Quando ho letto che stava per uscire, anche in italiano (tradotto da Caterina Marietti) con Bao Publishing, Il Capanno di Ash, non ho avuto dubbi: Jen Wang è una garanzia, in qualunque mondo decida di ambientare la sua prossima narrazione.
Questa corposa graphic novel è strutturata come un diario, quindi attraverso una narrazione in prima persona, che ha per protagonista Ash, 15 anni. La sua storia si snoda attraverso le parole del diario, e al contempo, come in un film, vediamo i personaggi e la loro vicenda prendere vita e forma anche sul piano visivo. Il tratto morbido ed espressivo di Wang si sposa, qui, con una palette di sfumature calde, terrose.

C’è tanto, dentro questa storia, anche al di là di quello che Ash annota nel diario e ci tramanda. La premessa del romanzo richiama una sorta di Into the wild adolescenziale. Ash sta attraversando un periodo di profonda crisi e di messa in discussione di sé e dei suoi obiettivi. Da qualche tempo ha deciso di cambiare il suo nome e di adottare dei pronomi neutri (nella sua lingua, l’inglese) al posto di quelli femminili. Questo aspetto non è messo a fuoco come un problema, non rappresenta “il” tema, ma è una componente della sua identità in costruzione e del suo essere in ricerca.
Perché Ash sta vivendo uno stato di inquietudine. Sente una forte solitudine sia a casa, dove non si sente capit* pienamente, per quanto la sua famiglia non sia ostile, sia a scuola,tra i coetanei che percepisce come superficiali, disimpegnati, insensibili a temi cruciali come quelli ambientali, che invece Ash avverte con forza. La sua sensazione è che il mondo spinga in una direzione contraria al suo sentire e a ciò che è sostanza, e non solo forma. E proprio in questo momento di crisi, per caso nella sua mente prende forma un piano.
Ash ottiene il permesso di non seguire la sua famiglia a Disneyland per le vacanze estive e di trascorrere, invece, del tempo al ranch degli zii, insieme ad una cugina più grande. Il ranch è, per Ash, un luogo del cuore, legato alla memoria di suo nonno, un luogo chiave che sta per perdere.
La vacanza con la cugina è solo un pretesto. Ciò per cui Ash si è preparat* meticolosamente per mesi, in realtà, è una fuga nella natura selvaggia della California settentrionale, in compagnia solo del suo cane Chase, alla ricerca di un misterioso capanno che il nonno raccontava di aver costruito in un luogo segreto nei boschi.

E qui inizia la parte più avventurosa ed intensa. Quella in cui Ash riesce a mettere realmente in pratica i suoi propositi, e ne affronta le conseguenze.
Ci sono persone che cercano se stesse, o una risposta alle proprie inquietudini, attraverso esperienze estreme, dagli sport pericolosi alle droghe, passando per tanto altro – in fondo la percezione di ‘estremo’ può variare. In un certo senso è così anche per Ash.

Con un misto di lucidità ed incoscienza, Ash affronta, passo dopo passo, la realizzazione di questo obiettivo folle -agli occhi altrui- che però percepisce come necessario, l’unica cosa che davvero desidera. In un’immersione totale nella foresta, Ash vive l’euforia e il terrore, la fatica, la vertigine e la responsabilità di avere solo se stess* su cui contare.

Vive un’esperienza radicale di solitudine e interdipendenza – fisica e mentale – con la natura, e in tutto questo tempo attraversa luci ed ombre del proprio mondo interiore. Mentre il suo corpo si mette alla prova e si tempra a contatto con gli elementi, Ash si mette, più che mai, a nudo con sé stess*.


Il suo percorso è fatto di apprendimenti ed errori, con in mezzo un incontro importante. Sarà una circostanza drammatica a costringere Ash a lasciare la foresta, e il processo di “ritorno alla civiltà” non sarà del tutto semplice o lineare.

Wang ci regala un’opera densa e complessa, che non offre risposte confezionate, ma pone domande. Lo fa attraverso lo sguardo di un*adolescente. Una persona in trasformazione per eccellenza, umana, imperfetta, egocentrica per certi versi, talvolta irritante, e al contempo capace di sentire e interrogarsi profondamente, più di tanti adulti, sul senso del tutto.
Da questo caleidoscopico disegno sembra emergere, se vogliamo, una sola certezza, un imperativo da ascoltare con urgenza: quella dell’interconnessione, inevitabile e necessaria, tra tutti gli esseri viventi.