Tra un paio di giorni, il 15 ottobre, sarà la giornata dedicata alla consapevolezza sul lutto perinatale. Un tema delicato e difficile da affrontare in primis per noi adulti, e che può toccare anche la quotidianità dei nostri bambini e bambine.
Un tema che è ancora in gran parte un tabù nei discorsi tra adulti, forse perché siamo ancora poveri di strumenti per parlarne, forse per imbarazzo e timore di sbagliare.
Quando una perdita avviene all’inizio di una gravidanza, d’altra parte c’è anche chi, per “aiutare”, minimizza l’accaduto: e va beh, ci riproverete, eri solo al terzo mese, succede a tante donne, sai?
Ignorando che per quella donna o per quella coppia, magari, la ricerca di quella gravidanza era stata lunga e faticosa emotivamente e fisicamente, che non è detto che riprovarci sia facile. Che quel bambino o bambina era davvero desiderato e aveva già un posto reale nel loro immaginario di futuro. Che la frequenza degli aborti spontanei non li rende meno tristi e pesanti per chi si ritrova a viverne uno. E che è inutile e dannoso, come sempre, stilare gerarchie nel dolore degli altri.
Il semplice fatto di poter chiamare e narrare questa perdita per quello che è – non un intoppo nel percorso, ma un lutto – può aiutare ad andare avanti.
Pensando, in particolare, alle coppie che hanno vissuto l’esperienza della perdita durante la gravidanza, Giovanna Donati, insieme all’illustratrice Fausta Ranghetti e alla psicologa Alessandra Nodari, ha pubblicato un racconto che si chiama Il bambino del vento, edito da Il Ciliegio in un’edizione bilingue, in italiano e inglese.
Giovanna la conosco fuori dalle pagine ed è una persona luminosa, che nella vita è pedagogista e tanto altro.
In questo libro piccolo ma intenso che mi ha regalato qualche tempo fa ha racchiuso una possibile narrazione di un aborto spontaneo, rivolta ai grandi, che la potranno condividere con i loro bambini e bambine.
C’è un bambino che vive nel vento, felice. Ci sono una mamma e un papà che lui sceglie per diventare un bambino di carne.
Ci sono la vertigine e la gioia della coppia nello scoprire che il bimbo è nella pancia. E subito il loro immaginario inizia ad allargarsi e allungarsi, a riempirsi di pensieri sul futuro.

Ma poi succede qualcosa di inaspettato e misterioso, come tutto ciò che riguarda la vita e la morte: il bambino ha nostalgia del vento, e lascia la pancia di sua madre.

La mamma e il papà sono tanto tristi (quanto è importante poter dire questa cosa? Quanto è importante dire il dolore per poterlo attraversare?) e cercano risposte ognuno a modo suo. Il papà attraverso lunghissime camminate, la mamma su un treno. Finché la possibilità di una storia, di narrare quello che è successo, con il tempo, permette a entrambi di tornare a sentirsi interi. A integrare questa esperienza nella loro vita che va avanti, senza rimuoverla, senza negarla.
Questo racconto è uscito nel mondo, spiegano le autrici, per rispondere intenzionalmente a più necessità.
Quella di ascoltare e dare parole a un dolore per renderlo più elaborabile, ma anche per dare corpo a una consapevolezza collettiva.
La necessità di dare voce anche al vissuto dell’altro genitore, a volte messo tra parentesi come se la perdita riguardasse solo la mamma di pancia, dato che succede nel suo corpo. E anche quella di condividere, quando ci si sente pronti, questo capitolo della storia di famiglia con sorelle o fratelli più grandi di quel cucciolo tornato nel vento.
Donati, G. , Ranghetti, F. (2021). Il bambino del vento. The baby who belonged to the wind. Il Ciliegio edizioni.
Traduzione di Claudia Donati, prefazione di Alessandra Nodari.