Io parlo come un fiume: un papà che sa vedere il suo bambino

Viviamo in un mondo che non sta mai zitto. Un mondo in cui le informazioni scorrono rapidissime, un mondo che parla in continuazione, quando non sta urlando.
Immaginiamo di essere un bambino che ha difficoltà a tirare fuori e trasformare in parole tutto quello che ha dentro. Immaginiamo di dover andare a scuola. Un luogo dove la performance e la velocità, comunque, contano e dove questa difficoltà si traduce in un grosso disagio. Immaginiamo anche di essere un bambino maschio in una cultura che troppo spesso, anche a livello inconscio, si aspetta da un bambino più che da una bambina che sia in un certo modo e non in altri. Per esempio forte, veloce, estroverso, desideroso di primeggiare.

Io parlo come un fiume è un albo prezioso nato dalla collaborazione tra Jordan Scott e Sydney Smith, che diventano interpreti delicati e intensi del vissuto di un bambino con la balbuzie.

E’ mattina. La luce accarezza la cameretta del bambino. Sta per affrontare una nuova giornata nella quale dovrà fare i conti con la fatica di vivere immerso in un mondo di parole e suoni che conosce, che sono vivi e tridimensionali nella sua mente, ma gli rimangono intrappolati in bocca.

A scuola diventa subito chiaro che è una mattina “no”. Il nostro protagonista si sente sopraffatto dalle parole che sente nella gola, sulla lingua, che non riescono ad uscire, in soggezione di fronte allo sguardo del maestro, e dei compagni. La tensione del piccolo diventa angoscia.

Ad allentare questa morsa arriva il padre, all’uscita da scuola. E respiriamo di nuovo, insieme al bambino. E’ solo una giornata di difficoltà di parole, gli dice il papà – per accogliere le emozioni, senza sminuirle – e lo porta in un posto tranquillo.

Finalmente una persona con il quale il bambino può condividere un confortevole silenzio e un abbraccio che sa ricomporre i suoi pezzi. Il padre non lo sommerge di parole, ma lo porta al fiume. E a quel fiume paragona il figlio, che finalmente trova una forma, un elemento nel quale riconoscersi. Il fiume che è via via gorgogliante, tumultuoso, calmo diventa il luogo, fisico e mentale, capace di restituirgli un senso di sé integro, completo.

Vedere davvero un figlio non è scontato, non sempre è semplice. Noi genitori siamo esseri umani. Può capitare di proiettare sul nostro piccolo umano qualche aspettativa, qualche ricerca di somiglianze ed echi con la nostra infanzia. Le difficoltà dei nostri figli possono metterci a disagio, magari ci sentiamo chiamati a trovare in fretta soluzioni rapide ai loro problemi (o a quelli che ci sembrano tali). Forse viviamo queste difficoltà come nostre mancanze, o come discrepanze rispetto a modelli prestabiliti.

Metterci in pausa e in ascolto, lasciare scorrere il fiume, accettare l’unicità dei nostri figli e la loro intrinseca diversità da noi, è più faticoso e meno immediato.

Il papà che troviamo in questo albo emozionante e inondato di luce colpisce. Perchè ha una presenza capace di calmare senza mettere a tacere, di accogliere il suo bambino e il suo tumulto interiore. Proprio perchè ha allenato il suo sguardo ad osservarlo – senza dirgli cosa e come dovrebbe essere – riesce a trovare le parole giuste, a mettergli a disposizione quella chiave simbolica di cui ha bisogno. E a farlo rispecchiare in una narrazione di sé positiva, piena di forza e di possibilità.

Scott, J., Smith, S. (2021). Io parlo come un fiume. Orecchio acerbo editore

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