Non hanno, ad una prima occhiata, molto in comune, se non il fatto di essere due albi molto belli usciti proprio in queste ultime settimane. Eppure, sarà perchè li ho sfogliati a distanza di pochi giorni, sarà per la mia tendenza a iperanalizzare questi temi nella vita reale, ma nella mia testa – forse solo lì – c’è un filo rosso che unisce Manco per sogno di Beatrice Alemagna, edito da Topipittori, e Titù di Claudine Galea e Goele Dewanckel, pubblicato da Orecchio acerbo editore nella traduzione di Francesca Lazzarato.
Secondo il filo della mia testa, al crocevia tra queste due storie quello che si intravede è un riflesso della complessità e scomodità ed enorme responsabilità del ruolo degli adulti, in particolare dei genitori verso i bambini. E un riflesso della irrisolvibile, inevitabile alterità tra esperienza adulta e bambina della vita.

Un primo giorno di scuola fuori dagli schemi
Manco per sogno è l’ultimo albo di Beatrice Alemagna, che ci racconta, con il suo tratto inconfondibile, dalla piacevolezza quasi tattile, un primo giorno di scuola particolare e lontano dagli schemi dei tanti libri a tema.
E’ quello di Pasqualina, cucciola di pipistrello peperina che sa quello che vuole: non importa se i bruchi gli scoiattoli i ricci le rane sono tutti in fila sul sentiero, tutti carini e motivati, per andare a scuola. Lei non ha nessunissima intenzione di andarci, manco per sogno!
Il “manco per sogno” urlato dalla pipistrellina infuriata rimpicciolisce magicamente la mamma e il papà alle dimensioni di due noccioline.
A Pasqualina non manca lo spirito di iniziativa: molto bene, allora non rimane che sistemare mamma e papà sotto la sua ala…e portarli a scuola con lei! Ma se all’inizio la presenza dei mini genitori è rassicurante e Pasqualina è l’unica alunna allegra e senza il magone del primo giorno, in mezzo a tanti pipistrellini piangenti, nel corso della giornata i due si rivelano, sempre di più, una scocciatura. La scuola si rivela foriera di esperienze quantomeno interessanti, ma immaginate di avere i vostri genitori incollati sotto l’ascella, dalle lezioni di volo al momento del pisolino: no, non è il massimo.

Pasticcioni, lamentosi e volenterosi di partecipare a giochi e canti, mamma e papà pipistrello sono una presenza davvero scomoda. E all’uscita da scuola, Pasqualina non ha nessuno da abbracciare e a cui raccontare tutte le novità. Quando i mini genitori, sempre per magia, riprendono le loro dimensioni naturali, sono entusiasti della giornata e vorrebbero replicare…ma non saranno loro ad avere l’ultima parola!
In una narrazione leggera, tenera, esilarante, Alemagna riesce a raccontare con acume e senza un’ombra di didascalismo uno snodo cruciale nella crescita dei cuccioli umani (e dei loro adulti). La bellezza difficile del separarsi, a un certo punto, almeno per un poco, per potersi ritrovare e raccontare; il bisogno, per i piccoli, di poter vivere uno spazio proprio in autonomia, sapendo di poter tornare alla sicurezza emotiva della propria tana. La necessità, per gli adulti, di saper accompagnare con serenità i piccoli verso un’esperienza nuova, mettendosi a fianco, non al posto dei figli e sapendo rimanere fuori quando occorre.
La voce di un bambino che non parla
Si muove con un altro ritmo Titù, protagonista dell’omonimo albo, con una voce sommessa e intensa.
Titù ha sette anni ed è un bambino silenzioso. Non sappiamo se abbia smesso di parlare o non abbia mai iniziato e non ci viene data una spiegazione di stampo medico. A raccontare è la voce interiore di Titù, che ci restituisce il suo sguardo, limpido e acuto, sul mondo e sulle persone che lo circondano.

Titù ci spiega subito che questo del non parlare è un nodo importante; i Grandi, con la G maiuscola, vorrebbero tanto che parlasse. Loro parlano, sì, in continuazione, per dare ordini: gioca senza sporcarti, non correre, stai attento, studia, smettila di sognare. Un coro di richieste e rimproveri che vengono ripetuti mille volte al giorno, all’infinito e che – in una doppia tavola dall’effetto angosciante e molto efficace – sommergono la voce del bambino in una enorme nuvola di inchiostro nero.
Da questo nido soffocante, Titù si allontana. Esce dalla finestra e si immerge nella natura. Nuvoleggia, sfarfalla, rimbomba, formicola.

Titù è nel suo paese. Il suo paese dove può ascoltare le foglie che cadono e toccano terra, sentirsi sciogliere sulla lingua un fiocco di neve, in una fusione profonda con gli elementi naturali. Questo è il suo luogo e il suo tempo, sospeso e irrimediabilmente altro rispetto a quello degli adulti della sua vita. I Grandi non lo capiscono, non hanno nessuna chiave per entrare in contatto con questo bambino. Non si interessa a nulla, mi chiedo a che pensa, si dicono tra loro. La mente di Titù pensa, lavora senza sosta, si pone domande sul mare, sulla pioggia, sui fenomeni naturali. Non ha mai abbastanza tempo, dice, per pensare a quello che vede.
A differenza di quei Grandi che non riescono a trovare un linguaggio, un terreno comune, anche solo fisico, istintuale, la natura ha con il bambino una relazione intima, lo prende tra le braccia come probabilmente i suoi adulti non sanno fare, nè in senso figurato nè letterale.

Anche il tempo è al centro del conflitto, di un’insanabile incomunicabilità con il mondo adulto. Sbrigati, Ti do cinque minuti, non di più, mi fai perdere tempo sono il leit motiv delle giornate. Titù vive, forse ancora di più di altri bambini, nel suo tempo, anni luce dal tempo produttivo e iper organizzato che domina l’esistenza degli adulti e che loro si illudono di stare dominando.

E da lì, dal suo tempo osserva torreggiare su di lui i Grandi fatti di ruggine, a cui la bocca, perennemente intenta a gridare e pretendere, ha divorato occhi, mani, cuore e anche tutto il tempo. Una sentenza spietata, lucida, definitiva. I Grandi sono troppo GRANDI per abitare nel tempo di Titù. La distanza è incolmabile. Titù, per fortuna, ha il suo paese. Un finale aperto, che ci lascia la possibilità di immaginare un bambino resiliente che troverà un suo modo di stare al mondo. Ma che ci lascia, anche, con l’angoscia di questa distanza tragica tra Titù e quelle persone che dovrebbero trovare un modo, perchè ci dev’essere un modo, di entrare in contatto con lui. E invece rimangono un passo troppo indietro, così preoccupati di doverlo trasformare in un piccolo adulto da non saperlo vedere per la persona che è già, non sapere rallentare per stare, almeno qualche volta, al suo passo.
Certo, questi Grandi di Titù sono ottusi in modo estremo, drammaticamente incapaci di relazionarsi con un bambino dalla sensibilità e dai bisogni fuori dal comune, che pone delle sfide altrettanto estreme al loro modo di essere.
La realtà ha sempre qualche sfumatura in più, salite, discese, curve e passaggi segreti nascosti. È fatta di tentativi ed errori, e se hai fortuna ci sarà qualcuno del villaggio a darti una mano o a dare una mano al tuo bambino di fronte a grosse difficoltà.
Ma lo stesso, questi Grandi grotteschi, banali e inquietanti, rappresentano alcune delle mie paure sul mio modo di essere come genitore. La paura di arrugginire, di non saper ascoltare, non sapermi fermare e scendere dalla mia personale ruota da criceto; di perdermi quelle scintille di magia, di contatto segreto con l’universo che è intessuto nei primi anni di infanzia e che poi sfugge via.

Alemagna, B. (2021). Manco per sogno. Topipittori
Galea, C., Dewanckel, G. (2021). Titù. Orecchio acerbo editore. Trad. Francesca Lazzarato