Bea Wolf

Luglio, il mese più lungo del mondo, è passato e non mi sembra vero. Sto riuscendo a leggere pochi libri, ma gustosi, e uno di questi è l’ultima chicca della collana Cherry Bomb, curata da Zerocalcare per Bao Publishing.

Bea Wolf, firmata da Zach Weinersmith e Boulet, è una graphic novel, uscita originariamente negli Stati Uniti, alla quale le etichette stanno strette. Non potrebbe essere altrimenti, per un’operache nasce come rielaborazione del Beowulf, il più antico poema epico in lingua inglese antica, e che riesce a costruire un equilibrio tra il registro epico e il linguaggio visivo del fumetto contemporaneo, in un gioco linguistico strepitoso che sviluppa una storia di ampio respiro sulla fine dell’infanzia e sulla sua stessa essenza.

Quelli della guerra tra adulti e i bambini e della paura di crescere e scivolare nella gabbia di un mondo adulto grigio e infelice sono temi che percorrono, tra gli altri, un classico dal quale ero ossessionata nella mia infanzia. Di sicuro non sono l’unica, dato che è considerato uno, anzi, due dei libri più perturbanti per e sull’infanzia. Di Peter Pan vi avevo scritto qui. Non a caso, ero una bambina che avrebbe voluto rimanere aggrappata all’ultimo brandello di infanzia per sempre.

Di nostalgia di un certo modello di infanzia, più libero di quello prevalente oggi nei paesi occidentali, è intrisa una moltitudine di prodotti culturali recenti. Mi vengono in mente, tra tanti altri, l’ambientazione e l’estetica anni Ottanta di Stranger Things, con i suoi ragazzini in bici che hanno tutto lo spazio di sperimentare avventure e pericoli di cui gli adulti sono minimamente consapevoli.

Weinersmith e Boulet riprendono questi ed altri topos, intessendoli con maestria in un impianto narrativo che riprende, con passione, humour e tocchi geniali quello dell’epica. Qui uno “chapeau” è davvero d’obbligo anche per Leonardo Favia, che ha curato la traduzione. La solennità del ritmo si intreccia con un testo brillante, a tratti esilarante, comunque intenso perché la lotta che viene raccontata non è uno scherzo. Nell’appendice viene raccontato il processo creativo che ha portato Weinersmith reinventare il Beowulf in questa chiave e vengono spiegate alcune specifiche scelte linguistiche, come l’uso del kenning, una figura retorica che sostituisce un nome con una descrizione più figurata ed evocativa.

Questa rielaborazione del Beowulf ha un’ambientazione contemporanea e suburbana. Al centro dell’azione c’è Cuoralbero, dimora di una stirpe di bambini e bambine dei quali ci vengono narrate le gesta nel tempo. Bambine e bambini eleggono un loro re, e questo ruolo passa da un bambino all’altro quando il monarca precedente si affaccia all’adolescenza.

Cuoralbero è un luogo mitico per eccellenza, una grande casa sull’albero che ospita giochi e festini memorabili, come una repubblica indipendente alla quale nessun adulto ha accesso. Che diventa rifugio e roccaforte quando sul gruppo si allunga l’ombra di un nemico minaccioso.

Grindle (rielaborazione del nome di Grindel in Beowulf) è un pensionato incattivito, che odia i bambini e ha il potere di trasformarli, con un solo tocco del suo dito, in tristi e noiosissimi adulti disillusi, dallo sguardo vuoto e dai vuoti discorsi. A più riprese la gang di Cuoralbero affronta Grindle, ma esce dai suoi assalti sempre più indebolita. Finché, memore di un antico patto, arriva da un altro quartiere Bea Wolf, portando con sé una manica di altri bambini, pronti a dare manforte ai loro amici.

I due gruppi si uniranno per resistere al nemico che mira a distruggere la loro stessa essenza. Dovrete sfogliare anche voi le pagine di questo volume prezioso per vedersi dipanare fino alle estreme conseguenze la lotta tra il bene e il male.

Lungi dall’essere una parodia, Bea Wolf dà pieni poteri di autodeterminazione ai suoi personaggi. Queste eroine e questi eroi hanno fattezze tonde e tenere ma la loro battaglia è serissima e drammatica e merita davvero i toni del mito. Gli autori posizionano al centro, senza alcun orpello pedagogico, il diritto dell’infanzia ad avere spazi di libertà e indipendenza in cui vivere in qualche modo la propria natura selvatica, non irregimentati nei compartimenti stagni delle aspettative e delle consuetudini adulte.

Mettono a fuoco la perdita di sé, o almeno di una parte importante di sé, che si prospetta con il passaggio ineluttabile verso la dimensione adulta. Una metamorfosi nella quale ci si appropria, sì, di tante capacità, prospettive, libertà nuove, mentre altre vanno irrimediabilmente lasciate indietro, insieme ai giochi di qualche anno prima.

Bea Wolf può parlare agli adulti, riaccendendo la memoria di chi sono stati e di cosa hanno vissuto quando erano anche loro della stirpe di Cuoralbero. Può parlare ai bambini, bambine, adolescenti perché è loro il punto di vista, loro l’urgenza di mantenere la propria integrità e identità. Perché questa battaglia, in qualche misura, è , sarà oppure è stata la loro.

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