A map for Falasteen: parlare di Palestina con i bambini

Un libro da leggere è solo una goccia nell’oceano, è vero. Non cambia gli equilibri mondiali e non salva delle vite. Però è una forma di rappresentazione, e un modo di dire parole che talvolta è necessario mettere nero su bianco, anche in forma narrativa, se necessario.

Non sono la persona adatta per consigliare se e fino a che punto sia bene parlare a bambini e bambine di conflitti e violenze del momento storico che stiamo vivendo. Sul tema della guerra in generale potete trovare delle buone bibliografie su altre piattaforme, come Teste Fiorite per esempio. Quello che sta succedendo ora in Palestina, però, esula da uno scenario di guerra.

Spiegare realmente a bambine e bambini di pochi anni l’orrore del genocidio che si sta compiendo per mano del governo israeliano è difficile e forse neanche consigliabile. Un discorso diverso può valere per preadolescenti e adolescenti,certo, sempre con la dovuta sensibilità e considerazione di chi abbiamo davanti.

La mia personale idea è che anche a bambini in età scolare e dintorni, si possa dire qualcosa di fronte a temi così macroscopici, di cui sentiranno comunque parlare di riflesso attraverso i media o nei discorsi degli adulti. Credo anche che non sia mai troppo presto per iniziare un’educazione ai diritti umani, con il linguaggio e gli strumenti adeguati per le diverse età. Anzi, mi sembra urgente farlo.

Se c’è qualcuno sensibile alle ingiustizie e agli abusi di potere, sono (spesso) bambine e bambine. Ora, al netto della complessità storica della questione palestinese, mi sembra che di fronte allo sterminio sistematico di una popolazione, la priorità dovrebbe essere sempre e comunque fermare lo sterminio. Così, per dire.

Nei mesi scorsi ho cercato libri per l’infanzia sulla Palestina, e sono stata esitante. Un po’ perché la mia preparazione non è così approfondita su questo ambito geopolitico, per quanto cerchi di informarmi. Un po’ perché i titoli che trovavo parlavano di fasi di conflitto precedenti, e quindi mi sembravano un po’ slegati dalla situazione attuale. L’albo che vi mostro qui ha un punto di vista specifico. Rientra nella sfera delle voci della diaspora palestinese e delinea un tema di fondo, attraverso il punto di vista di una bambina, nipote di esuli. Mi è sembrato utile come punto di partenza, comunque più vicino alla narrativa che alla divulgazione.

Si tratta di A map for Falasteen di Maysa Odeh e Aliaa Betawi, edito nel 2024 da
O’Brien Press.

A scuola la maestra invita la classe a indicare sulla mappa i luoghi di origine delle loro famiglie, e Falasteen non trova la Palestina (perché non c’è). Sorprendentemente, la sua maestra decide di glissare del tutto sulla questione, o forse non vuole impelagarsi in spiegazioni complesse, e quindi la bambina torna a casa con tante domande.

Per fortuna, i nonni e la mamma sono ben disposti a risponderle. E, tutti insieme, tracciano per lei il perimetro di una questione che non è semplice né semplificabile, e riescono a farlo con parole adatte alla sua età, a partire dalla propria esperienza personale.

Il nonno di Falasteen disegna per lei una mappa dei territori palestinesi, scrivendo il nome delle diverse città che ne fanno parte. La nonna le racconta di quando ha dovuto fuggire dal sua città con i suoi figli piccoli, e di come abbia sempre conservato – come tanti esuli – la chiave di casa, nella speranza di potervi ritornare.

La mamma le ricorda, con vibrante emozione, alcuni dei tratti culturali che, anche nella diaspora, la sua famiglia e tante altre hanno coltivato, mantenendo saldo il legame identitario con la terra di origine. Attraverso il cibo, la musica, la memoria di chi è lontano, nonostante le circostanze politiche che l’hanno segnata nel tempo, la Palestina continua ad essere realtà,un corpo vivente.

Con delicatezza le autrici mettono sul tavolo, senza banalizzazioni, il tema del diritto di un popolo ad esistere, a venire riconosciuto e a vivere in pace.

La Palestina non è sulle mappe ufficiali, ma esiste. Perché i confini non sono un dato naturale ed immutabile, sono determinati dagli esseri umani e dalle loro vicende storiche e politiche. Questo piccolo albo dalla voce limpida riflette in modo particolare il sentimento di quei palestinesi in esilio che vorrebbero poter tornare e immaginare un futuro oltre la devastazione che oggi segna tragicamente la loro terra.

“[La Palestina] è Gaza, più di ogni altro luogo, e i suoi cari bambini ridenti che giocano a calcio sulle rive del mare scintillante”

Nei giorni scorsi si sono accavallate tante nuove notizie agghiaccianti da Gaza. Il 31 agosto partirà da tanti porti del Mediterraneo la Global Sumud Flotilla, per portare aiuti creando un corridoio umanitario via mare. In un mondo che sembra al rovescio, nel quale valori di base della coesistenza umana dati a lungo per assodati vengono calpestati, questa iniziativa (simbolica e pratica) è il genere di follia che amo e nel quale spero. Si può contribuire qui: https://chuffed.org/project/140650-missione-internazionale-salpiamo-per-gaza

Naturalmente sono diverse le organizzazioni che si possono supportare, operative nei territori palestinesi. Personalmente sostengo da alcuni anni Medici senza frontiere con una donazione regolare: più info qui > https://www.medicisenzafrontiere.it/sostienici/fai-una-donazione/

E poi ci sono i comitati che organizzano da tempo iniziative nelle diverse città, per esempio a Torino c’è @torino.per.gaza. Chiaramente ognuna di noi fa quello che può e si sente. Trovo importante che collettivamente si continui ad organizzarsi, nelle forme in cui si riesce, anche imperfette e migliorabili, di fronte a fatti così intollerabili. Mi sembra un segnale genuino di vita in uno scenario politico internazionale in cui sembra che l’umanità sia morta, o quasi.

Presidio in piazza Castello a Torino, giugno 2025

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