I Tillerman

Care amiche e amici immaginari, oggi sono qui con uno spuntino di lettura, ma quello a cui vi accennerò in breve è, in realtà, più che uno spuntino un pranzo coi fiocchi. Un romanzo corposo e denso, nel quale vorrete scivolare per ore o giorni senza che nessuno vi disturbi. O forse, invece, lo vorrete centellinare per non separarvi troppo presto dai suoi personaggi.

Parliamo de I Tillerman, opera di Cynthia Voigt pubblicata per la prima volta nel 1981 con il titolo Homecoming. Questo romanzo è da poco tornato sugli scaffali delle librerie italiane nell’edizione de Il Barbagianni e nella traduzione di Marina Migliavacca.

E per fortuna è tornato, perché di romanzi per giovani lettori e lettrici ben costruiti e con questo spessore (non nel senso del volume che occupa) ne servono di più, ne servono tanti.

Con I Tillerman, Cynthia Voigt ci accompagna in un viaggio di ricerca, che sembra trasporre in un’ambientazione contemporanea (insomma, vintage per noi ma comunque parliamo dell’ultimo quarto del 20simo secolo) alcuni elementi distintivi dei grandi classici occidentali per l’infanzia e l’adolescenza. Troviamo, tra queste pagine, quattro ragazzini soli – non è il topos dell’orfano, ma poco ci manca – che si trovano a fronteggiare molti pericoli in un viaggio avventuroso, sì, ma anche carico di rischi e paure. Un viaggio verso un futuro ignoto.

Siamo alla fine degli anni Settanta, o forse all’inizio degli anni Ottanta, e i quattro fratelli Tillerman si ritrovano soli, in macchina, in mezzo ad una strada. La loro madre, che tra molte difficoltà e convivendo con una salute mentale molto fragile, si è occupata di loro fino a quel giorno, sparisce senza alcun avvertimento. Se non quello di dare retta a Dicey, la sorella maggiore, che ha 13 anni, parecchio sale in zucca, e sa leggere le mappe stradali.

La famiglia si stava spostando in un altro stato per chiedere sostegno economico e ospitalità ad un’anziana zia, che i ragazzi non conoscevano. Dopo molte ore, Dicey guarda in faccia la propria consapevolezza che la madre non tornerà a breve e – tra coraggio e incoscienza – prende per tutti la decisione di mollare tutto e partire a piedi, per arrivare a casa della zia. Avvertire la polizia significherebbe, probabilmente, essere affidati ai servizi sociali e doversi separare. E allora i Tillerman partono.

Oltre a Dicey, appunto tredicenne, ci sono James, di circa 10 anni, Maybeth, che ne ha 9 e Sammy, che ne ha 6. I quattro fratelli partono, misurando giorno dopo giorno il tempo necessario per coprire tutta la distanza tracciata sulla cartina. Il loro è un viaggio faticoso e dai tratti epici. Dicey è molto lucida, tra i ragazzini è l’unica ad avere un quadro realistico di cosa sta succedendo, e ogni giorno deve tenere a bada un’angoscia che altrimenti la sommergerebbe. Ha pochissimi soldi in tasca, che devono bastare per racimolare qualcosa da mettere sotto i denti. Alla sera bisogna cercare un riparo e sperare di non essere scoperti. Di giorno bisogna inventarsi un sacco di bugie e cercare di non attirare l’attenzione. Il viaggio a piedi si rivela molto più lungo di quanto Dicey potesse prevedere. A volte occorre trovare un lavoretto per raccogliere qualche dollaro in più per mangiare. Ogni tanto serve una tappa più lunga, per riprendere le forze. E intanto i Tillerman incontrano tante persone, un’umanità molto varia nella quale possono riporre, nella maggior parte dei casi, poca fiducia.

Mentre l’intreccio si dipana e seguiamo i ragazzi nella loro marcia, attraverso la voce del narratore onnisciente iniziamo a scoprire qualcosa del loro vissuto familiare – il padre che li ha abbandonati, le difficoltà economiche, la madre psichicamente instabile, lo stigma sofferto a scuola e molto altro. Al contempo, i quattro personaggi vengono, via via, delineati sempre più individualmente nelle loro caratteristiche e anche nelle loro zone di vulnerabilità. L’autrice ci porta, una tappa dopo l’altra, a conoscere meglio ciascuno di loro, a simpatizzare per i loro moti emotivi, ad incrociare le dita per loro.

I Tillerman si rendono conto, attraverso tutte le loro vicissitudini, di poter contare solo l’uno sull’altra. E allo stesso tempo, realizzano di poter contare l’uno sull’altra. Le dinamiche del gruppo sono complesse e mutevoli, ma il legame tra loro, già stretto, si rafforza sempre di più tra peripezie, litigi, lacrime e momenti di leggerezza e sollievo. Sono quattro ragazzini – o, più precisamente, una ragazzina e tre bambini – soli di fronte ad un mondo che, per la maggior parte, non è accogliente né pronto a rispettarli come persone e a vedere i loro bisogni.

Il loro viaggio ha un primo punto d’approdo quando i Tillerman riescono ad arrivare a casa della prozia, e qui trovano persone che, per senso del dovere, sarebbero forse pronte ad occuparsi di loro. Ma a modo proprio. La mamma viene ritrovata: è ricoverata in un ospedale psichiatrico – a sua volta, senza nessuno che possa starle accanto e tutelarla – e impossibilitata a riprendere con sé i figli.

Dicey, James, Maybeth e Sammy sono percepiti, da gran parte degli adulti che hanno il potere di aiutarli – e quindi di assumere il controllo delle loro vite – come un problema da risolvere, secondo schemi prestabiliti.

Quando i due fratellini più piccoli vengono etichettati, Maybeth come bambina “ritardata” da mandare, forse, in un istituto e Sammy come bambino difficile da “raddrizzare” – senza il minimo sforzo di indagare oltre le apparenze né di comprendere la loro sofferenza – in Darcy suona un campanello d’allarme. E i quattro Tillerman si rimettono on the road, per cercare, con la forza e l’ottimismo della disperazione, un’alternativa e un luogo da chiamare di nuovo casa.

Un particolare dell’illustrazione di copertina di Vittoria Dalla Torre

Al centro della narrazione troviamo, a mio vedere, alcuni nodi tematici molto forti attorno ai quali si dipana tutto.

Dicey e i suoi fratelli sono dei bambini che si trovano soli contro il mondo, e lo sanno. Questa consapevolezza diventa una parte profonda di loro e in un certo senso li rende, per forza, precocemente adulti, a partire da Dicey, che assume la responsabilità dei fratelli sulle sue spalle di ragazzina. Perché devono imparare a guardarsi le spalle e a proteggersi a vicenda, sia dalle persone ‘rispettabili’ e benintenzionate, sia da quelle apertamente malintenzionate e pericolose.

In un dialogo con un ragazzo scappato da una situazione di violenza, l’autrice esplicita un concetto chiave: i bambini non hanno diritti. Vulnerabili e senza potere, dipendono dagli adulti a cui sono affidati. Se questi adulti sono persone trascuranti o peggio, i bambini possono subire abusi, o anche “solo” essere trattati come pacchi, senza voce in capitolo sulla loro vita. A questo destino Dicey decide di sottrarsi e di sottrarre i fratelli, giocando tutte le carte possibili prima di arrendersi al “meno peggio” pur di avere cibo e un tetto sulla testa.

Un altro nodo tematico che mi sembra percorrere e legare tutta la narrazione è, se vogliamo definirla così, una domanda implicita. Che cos’è davvero una famiglia, e di che cosa hanno bisogno, nel profondo, dei bambini per essere al sicuro e stare bene? I Tillerman vengono da una famiglia che verrebbe probabilmente definita disfunzionale. Sono ciò che rimane di una famiglia spezzata, sono stati abbandonati più volte e costretti ad attivare doti di resilienza che non augureremmo di attivare, credo, a nessun bambino o bambina che ci stia a cuore.

Eppure hanno in sé una fiamma interiore, una capacità di scambiarsi amore e aiuto, un istinto nel riconoscere le cose belle e nel cercare la felicità, che probabilmente deriva loro dall’essere stati molto amati per un po’, anche se in un nucleo non convenzionale e problematico. I quattro Tillerman conservano la capacità di proiettarsi in un futuro migliore, di sostenersi a vicenda in un mondo ostile e l’istinto ostinato di scrivere da sé la propria storia. E allora, come tanti bambini della letteratura classica, sopravvivono e si salvano da soli. O quasi. In cerca della possibilità di rielaborare il loro dolore – e la catena di dolore delle generazioni che li hanno preceduti – e di trasformare tutto questo in qualcos’altro.

I Tillerman hanno tutte le carte per entrare nel vostro cuore di lettori e lettrici. Datemi retta, non fateveli scappare.

Voigt, C. (2024). I Tillerman. Il Barbagianni Editore.


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